Il Ritratto POPolare è fotografare la vita: prima di tutto un incontro, poi una foto. Mi interessa chi ho davanti, non la sua “bravura” nel posare. È un invito gentile: vieni così come sei.
È un’esperienza pensata per tutti: persone singole, coppie e famiglie. Nessuna esperienza richiesta: ti guido io, con calma. Molte persone arrivano convinte di “non venire bene in foto”; le capisco. Sciogliere quella tensione è parte del mio lavoro. Inizio sempre con due parole, un caffè, una breve passeggiata. Ascolto dove sei, che momento stai attraversando, cosa desideri ricordare. Da quel piccolo colloquio nasce l’immagine: non una posa, ma il ricordo di un momento vero.
Scatto nei luoghi quotidiani, quelli in cui ci si sente a proprio agio. A Genova, che è la mia città, mi piace intrecciare i ritratti con i quartieri: i carruggi, Boccadasse quando scende la sera, il Porto Antico nelle mattine limpide, i parchi di Nervi, le strade tra Sampierdarena e Sestri. Ma anche a casa tua, se lì abita davvero la tua storia. L’ambiente non è un fondale: è una riga del tuo racconto.
Chiamo questo approccio “popolare” perché è accessibile nel modo, oltre che nell’idea. Significa orari elastici, sessioni brevi quando servono (penso ai bimbi e ai nonni), possibilità di scegliere spazi familiari, nessuna ansia da posa. Anche cani e gatti sono benvenuti: fanno parte della memoria affettiva. Voglio togliere barriere, non aggiungerne.
Con chi non ama farsi fotografare, lavoro per sottrazione: gesti piccoli, pause, ritmo respirato. Non imposto una maschera; accompagno. La fotografia si apre quando smettiamo di costringerla a “venire bene” e le concediamo di somigliarci.
Genova conta molto nel mio sguardo. Ha una luce che cambia in fretta, angoli spigolosi e improvvise aperture sul mare. Mi riconosco in questo carattere e lo porto con me quando fotografo: preferisco la verità a qualsiasi patina. Il progetto sui quartieri nasce proprio dal desiderio di dare a ogni ritratto una trama urbana, un accento.
Alla fine del servizio consegno una stampa 10×15, subito. È un gesto semplice che cambia tutto. Un file si scorre e si dimentica; una stampa si tocca, si passa di mano, si ritrova tra dieci anni in un cassetto. Diventa un oggetto di casa, una piccola presenza che dice: questo momento è accaduto davvero.
La fiducia viene prima di tutto. Pubblico immagini solo con una liberatoria esplicita: se preferisci tenerle nel tuo cerchio, restano lì. Il ritratto nasce dall’incontro e appartiene a chi l’ha vissuto.
Se dovessi riassumere: il POPolare non ti chiede di essere perfetto, ma presente. È un modo di prendersi cura dei momenti normali—quelli che, guardati con attenzione, fanno la nostra storia—e di portarli a casa su carta, con discrezione e verità.
Mentre scrivo, ho sul tavolo una stampa recente. Non ha nulla di “spettacolare” nel senso delle locandine: ha qualcosa di più prezioso. Una famiglia inclinata verso la luce, un braccio che stringe, un frammento di quartiere sullo sfondo. In quella semplicità riconosco il senso del mio lavoro: fermare ciò che ci somiglia e tenercelo vicino.

Scrivi commento